15 Gen Un percorso obbligato. Dalla medicina d’organo alla medicina personalizzata
“Voglio che sia il Paese che ha eliminato la poliomielite e mappato il genoma umano a portarci a una nuova era della Medicina, capace di offrire il giusto trattamento al momento giusto”.
Esattamente 10 anni fa, nel messaggio alla Nazione del 20 gennaio 2015, il Presidente Obama annunciava, con motivato orgoglio e forte determinazione, la “Medicine Precision Initiative”.
Si percepì subito dalle parole del Presidente l’entusiasmo per un approccio innovativo con il quale trattare ma soprattutto prevenire le malattie, tenendo conto della variabilità dei geni, dell’ambiente, della storia personale e dello stile di vita di ogni persona. Quindi, più precisione nella medicina.
Il salto è epocale: da medicina miniaturizzata ed esclusivamente dedicata all’analisi patologica dell’organo malato, senza alcun riferimento ad una visione dell’intero organismo, ad una medicina “cucita addosso” al paziente e, dunque, in grado di adattare la strategia diagnostica e terapeutica non già alla patologia in quanto tale, ma al singolo paziente. Come dire che, pur avendo la stessa identica malattia, due persone potranno aver bisogno di protocolli terapeutici, con farmaci, dosaggi e tempi di somministrazione, completamente diversi. Così scriveva in una sua pubblicazione datata 1999 Patrick Wall, neuroscienziato inglese tra i massimi esperti mondiali sul dolore: “I protocolli terapeutici, una volta che il paziente è stato etichettato con una diagnosi, sono ormai comuni. Il paziente si imbarca in un programma prefissato di cura che ha lo stesso grado di personalizzazione riservato alle automobili nell’autolavaggio” (“Perché proviamo dolore”, Einaudi Editore, 1999).
Medicina basata sull’evidenza: secolo XX
In realtà, quelli che hanno preceduto l’inizio del terzo millennio sono stati i lunghi anni della medicina basata sull’evidenza: i protocolli standardizzati, avallati da studi scientifici, hanno di fatto sostituito le opinioni e le esperienze personali di ciascun medico. La Evidence Based Medicine (EBM) si riferisce fondamentalmente alla letteratura scientifica medica e stabilisce che i medici potranno basare le loro decisioni diagnostiche e terapeutiche sulla valutazione critica dei risultati reperibili nella letteratura scientifica.
EBM o Medicina Personalizzata?
Ad un certo punto della storia recente, però, la scienza medica si accorge che gli studi clinici (trial) mostrano i loro limiti; non tutti i pazienti rispondono in modo ottimale ai farmaci somministrati in quanto la risposta clinica alla terapia dipende certamente dalla costituzione genetica del singolo individuo, ma anche da quanto le cause della patologia sono sensibili al trattamento, dal sesso, dall’età, dall’etnia, dalla dieta, dall’uso di antibiotici, dallo stile e dall’ambiente di vita. Ne consegue, per deduzione logica, che le decisioni diagnostiche e terapeutiche di ciascun medico andrebbero reimpostate in modo da privilegiare la personalizzazione di ogni impianto diagnostico e terapeutico ed evitare sprechi di risorse ed eventuali effetti avversi.
Integrazione probiotica di precisione – MUNA MedLIFE
Tale ragionamento, proprio perché valido in assoluto, come tale andrebbe applicato anche alla corretta gestione di un’altra delle componenti caratterizzanti l’individualità unica e irripetibile di ciascuno: il microbiota. L’alterata composizione (disbiosi) di quella che un tempo era definita “flora batterica” sempre di più viene ritenuta capace di influenzare l’insorgenza e la progressione di diverse patologie intestinali ed extraintestinali. Proprio per questo, negli ultimi due decenni, una moltitudine di studi sono stati progettati per comprendere e definire la composizione di un microbiota normale o perturbato e per procedere ad una sua precisa e corretta manipolazione, allo scopo di indurre una condizione di sano equilibrio microbico.
Nel nostro lavoro, premiato per la qualità del suo contenuto nel corso del Mediterranean Life Science Union Annual Meeting (MedLIFE24) tenutosi a Istanbul nello scorso mese di dicembre, grazie ad una rilevante quantità di prove, abbiamo dimostrato che i probiotici svolgono un ruolo significativo nella composizione di un microbiota intestinale sano, contrastando la colonizzazione dell’intestino da parte di batteri patogeni, contribuendo a costruire un’efficace barriera protettiva intestinale e potenziando il sistema immunitario dell’ospite.
Ma, per raggiungere questi obiettivi, i probiotici vanno tutti ugualmente bene? Dando per acquisito il fatto che il meccanismo d’azione dei probiotici, di per sé piuttosto eterogeneo, è strettamente dipendente dallo specifico ceppo utilizzato, siamo certi che utilizzare un “fermento lattico” piuttosto che un altro sia esattamente la stessa cosa? Abbiamo consapevolezza che, assumendo un probiotico sbagliato, si può potenziare il danno già di per sé prodotto da una flora intestinale malata?
Lo studio da noi condotto ha dimostrato che salvaguardare la personale “carta d’identità” rappresentata da un microbiota intestinale unico e irripetibile, significa integrare, in ogni singolo paziente, batteri “probiotici” specifici. Saranno questi microrganismi benèfici, che le analisi del microbioma attualmente disponibili avranno individuato come i più adatti e proficui per ciascuno di noi, a ricreare condizioni di benessere attraverso precise azioni di supporto sulle attività antiinfiammatoria, immunomodulatoria e complessivamente regolatoria del nostro organismo.